UN ARCOBALENO A ROUBAIX

Paolo dedica questo piccolo resoconto a Fabio e Claudio,
senza di loro questo sogno non si sarebbe avverato. Grazie!

Il giallo dei campi di colza, la grandezza delle bianche pale eoliche che vorticavano, il silenzio nel tardo pomeriggio delle campagne francesi… “Sì va bene” mi disse il mio amico “ma com’è pedalare sul pavé?”. Ed io continuai: due giostrine piene di colori nella piccola piazza del paese dove alloggiavamo si spensero presto, credo verso le diciannove… “Ho capito” insistette lui “ma questo benedetto pavé?”. Ed io gli spiegai che il desiderio, dopo 10 ore in auto a parlare solo di ciclismo, di sentire sotto le ruote quel fatidico manto stradale era così impellente che prima di cena, esattamente l’ultima cena antecedente la partenza, ci recammo a vedere, a studiare, quasi a parlare con quel “primo settore di pavé”, proprio lui! E fu quasi una confessione, una preghiera, un ringraziamento. E lui era lì, simile a un serpente divino a riposo, pronto ad accoglierci sulla sua schiena fatta di scaglie di pietra.

E noi, alquanto eccitati, come al parco giochi, ci camminammo sopra con divertimento, contenti che la Roubaix, dopo anni e anni di dirette tv viste dal divano, era ora una realtà, ora un viaggio, o forse di più, un corteggiamento per quella corsa per certi versi elegante (il paesaggio circostante), per altri brutale (le possibili cadute), imprevedibile (i guai meccanici) e in tutto questo indubbiamente seducente (la sua storia, le sue strade)! Avremmo dovuto portare un mazzo di rose da deporre al primo settore come devozione ma ci siamo limitati a qualche foto festosa e una promessa: a domani!

E il domani si rivelò una sveglia al buio, una preparazione a modo, un parcheggio indicato, un check bici puntiglioso e affrettato, un ritiro pettorale speranzoso, una partenza dolce, una bellezza incantevole: l’alba che sorgeva ad abbracciare file di ciclisti muniti di lucine rosse che ordinati si prestavano a pedalare per chilometri e chilometri, in una mattina di inizio aprile, graziati dal bel tempo con quelle nuvole e quel vento che in queste terre mai cessano la loro attività.

“Ti muovi o no a dirmi com’è pedalare sul pavé?”. Il mio amico è impaziente di saperlo come noi lo eravamo di provarlo. Perché mister Pavé non si riesce a descrivere: le parole e le foto e i video servono a ben poco. Forse il rumore vi può aiutare ma c’è un solo modo per capire cosa significa pedalare sul pavé: farlo! E quando i giornalisti usano termini come ballare / galleggiare / volare altrimenti affondi… beh, ci vanno sì vicino! Perché il pavé è tutto un tremolio, e vibra il corpo, e macinano le gambe, spingono e la bicicletta emana dei rumori da “mamma mia, ora si spezza in due!” e tu sei lì concentratissimo, provi a tenere il centro di quella “schiena d’asino”, la traiettoria migliore insomma, e fai zig zag tra i ciclisti che ti rallentano, e stai attento ai ciclisti che ti sorpassano, e se trovi una striscia di terra ai lati, la sfrutti per riposarti un poco e poi alzi la testa per vedere dove sta l’arco che segna la fine del settore, non prima di aver seguito con gli occhi quella stupenda visuale data dalla serpentina di ciclisti in lontananza che segnala la direzione da prendere… E quando ne sei fuori? Fai un respiro profondo e guardi sull’adesivo informativo che ti hanno dato alla partenza quanti chilometri mancano al successivo perché la pace dura poco, qualche minuto e poi ci si ributta dentro, decisi a non mollare nonostante qualche dolore alle mani, alle braccia, al sottosella…
Ci sono i ristori sì, quelli dell’organizzazione (perfetta!) a base di sali minerali, biscotti, arance e scorta meccanica… Ci sono altri ristori eccome, necessari all’animo, dati dai sorrisi delle signore alle finestre; dai bambini che ti urlano “alè alè” lungo il marciapiede; dai giovani che hanno improvvisato un pranzo lungo la strada e applaudono e bevono e gridano a ogni corridore che passa di lì, manca fosse Poulidor!

E l’elenco di ciò che ti incanta potrebbe continuare… E le domande potrebbero cambiare… Se hai provato a rispondere a “com’è pedalare sul pavé?”, si potrebbe passare a “perché lo trovi così bello?”… Allora provi a filosofeggiare… perché pedalare è un movimento naturale dell’uomo, nonostante sia legato a un’invenzione tecnologica, perché è un godimento che non necessita di nient’altro che della sua azione… insomma, pedalare è bello ovunque! Ma sopra strade intrise di storia, fatta di ciclisti ma anche di contadini, tutto ha un sapore più intenso! Ci son passati Moser, Ballerini e Colbrelli, Coppi, Hinault e Merchx. Ci son passati in tanti ma non il tempo, lui sembra essersi magicamente fermato. Il tempo di quando da bambino prendevi una bicicletta e bastava un giro del quartiere per sentirsi al Giro, e bastava battere gli amici per sentirsi Campione del Mondo! E forse lo eri veramente…
La Roubaix è così speciale perché è il ritrovamento di un tempo perduto. Il mondo cambia, si sviluppa, evolve (?) e lei rimane sempre la stessa, con il suo vestito secolare.
Ci sarebbe da raccontare dell’emozionante arrivo al Velodromo, della magnifica Foresta di Aremberg, cuore pulsante di questo sport, della corsa “dei prof e delle prof”, dell’emozione di esser stato nel prato sotto al palco delle premiazioni, delle varie lingue sentite lungo il tragitto, delle molteplici tipologie di bici, dei consigli da dare, forse anche dei tempi e della media… ma tu, amico mio, mi dirai “dimmi un’ultima cosa e poi andiamo a dormire”… ok, te la dirò.
Domenica sera, rincasati un attimo per sistemare le valigie, siamo poi usciti dall’appartamento e… un arcobaleno attraversava il cielo di Roubaix, proprio sopra le case dai mattoni rossi, vicino all’ultimo rettilineo prima di entrare nel Velodromo.
Qualche ora più tardi, ho pescato dal web, una meravigliosa foto: un bambino con la faccia sbarazzina da topino, appoggiato alle transenne, compiva un grande sforzo di allungamento per dare il cinque a un ragazzone olandese vestito con una maglia bianca attraversata giusto giusto da un arcobaleno. Il bimbo indossava la sua stessa maglietta e il ragazzone, sorridendo, allungava la mano.
Fare la Roubaix è recuperare quel bambino, dargli il palmo. Ricordate quando da piccoli volevate saltare nelle pozzanghere e vi era vietato? Volevate farlo perché vi piaceva da matti senza chiedervi il perché. La Roubaix è la stessa cosa. Ti fanno male le mani, sobbalzi di continuo, la bici vacilla e tu preghi che resista, i quadricipiti diventano di marmo, stai attento a non perdere l’equilibrio… eppure ti piace da morire, sorridi, ne vuoi ancora…
Son così le cose belle: semplici, naturali, vitali. Buon arcobaleno a tutti

 

Credit photo Claudio Bergamaschi

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