Giuseppe Guerini “Il Giro d’Italia è come un liceo, il Tour de France è l’università del ciclismo”

Una telefonata di papà mi lascia senza fiato e scatena un vortice di emozioni:
“Pronto, sono qui a casa a bere un caffè con Giuseppe Guerini”. E io rispondo sorpreso: ” Beppe Turbo?”
E come non possono tornare alla memoria le emozioni degli anni a cavallo del millennio e le sfide al Giro d’Italia con Pantani, Tonkov e Gotti senza dimenticare il trionfo all’Alpe d’Huez?
Approfittando dell’occasione abbiamo provato a rivivere con lui i momenti più emozionanti della sua splendida carriera, fino ad arrivare al ciclismo di oggi

Giuseppe, raccontaci i tuoi sogni da ragazzo e le tue esperienze al Giro d’Italia
“Come ogni ragazzino italiano, quando ho iniziato a correre il mio obiettivo era quello di partecipare un giorno al Giro d’Italia e il mio sogno era vincere una tappa. Ci sono riuscito e ho fatto qualcosa in più salendo due volte sul podio. Da giovane ero un buon corridore ma ogni anno miglioravo molto, a 18 anni sono arrivato ad essere tra i migliori a livello nazionale e da dilettante ho vinto una tappa al Giro d’Italia di categoria e ho concluso in terza posizione dietro a Pantani e Casagrande. Poi passato professionista sono cresciuto ogni anno fino a salire sul podio al Giro d’Italia due volte e non potrò mai scordare la gioia del successo nella tappa di Selva davanti a Pantani”.

Come si affrontava il Pirata?
“Era difficile, ero ben consapevole che fosse il più forte al mondo ma questo dava a me e agli altri corridori delle motivazioni incredibili per provare a batterlo. E penso che anche per lui non fosse facile perché era quasi obbligato a vincere e noi avversari facevamo di tutto per metterlo in difficoltà”.

(Credit photo: Getty images, Guerini sul podio del Giro d’Italia con Pantani e Tonkov)

Giro d’Italia e Tour de France, le corse dove hai lasciato il segno
“Negli ultimi anni il livello del Giro d’Italia è cresciuto molto anche se il Tour è sempre l’evento dell’anno. Per fare un paragone il Giro d’Italia è come un liceo dove si impara a correre mentre il Tour de France è l’università del ciclismo dove ogni tappa è come una classica, supercombattuta sin dai primi chilometri e dove ci sono tutti i migliori al mondo: ogni giorno è come una battaglia ed era normale trovarsi in fuga con grandi campioni.
Al Giro ho raccolto grandi soddisfazioni, poi sono passato alla Telekom per aiutare Ullrich, l’astro nascente del ciclismo mondiale, a vincere il Tour de France e sono rimasto conquistato dalla corsa francese ed era sempre un emozione tornarci”.

Al Tour de France hai vinto due tappe, una in salita sull’Alpe d’Huez e una pianeggiante a Le Puy en Velay: raccontaci le tue emozioni in queste giornate indimenticabili
“Sull’Alpe d’Huez è stata una sfida incredibile: Armstrong era favorito, aveva un buon vantaggio e tatticamente era fortissimo, sapeva leggere le corse alla perfezione. La salita finale era iniziata ad un’andatura folle e davanti eravamo un bel gruppetto di scalatori fortissimi. Io soffrivo queste continue accelerazioni e sono salito con il mio passo costante facendo un po’ di tira e molla. Ad un certo punto, verso i meno 3 chilometri i favoriti hanno iniziato a studiarsi, non scattava nessuno e sono partito deciso dando tutto. All’inizio Zulle e Tonkov sembravano rispondere alla mia azione ma non sono riusciti a prendere la mia ruota e ho continuato a tutta. Ad  un certo punto mi sono trovato per terra: uno spettatore per farmi una foto mi ha colpito, ma in quel momento mi sono rialzato immediatamente cercando di mettermi a ruota dei primi inseguitori per provare a giocarsi la tappa allo sprint perché non avevo idea del vantaggio, invece avevo abbastanza margine e sono riuscito a vincere.
Il secondo successo è stato completamente diverso, in una tappa mossa nella prima parte con un finale pianeggiante. Ero in fuga con Franco Pellizzotti, Oscar Pereiro che l’anno successivo avrebbe vinto il Tour e Sandy Casar, giovane promessa del ciclismo francese e che era il più accreditato in un finale del genere. Ho quindi fatto la corsa su di lui e all’ultimo chilometro quando erano tutti sulla destra e lui era ultimo chiuso verso le transenne, sono partito a tutta dall’altra parte della strada e sono riuscito a vincere. Una vittoria tattica e maturata grazie anche alla conoscenza degli avversari”.

“Dai tuoi splendidi ricordi al presente: quale scalatore ti piace di più? “
“Premetto che ho notato che in Italia negli ultimi anni tanti scalatori promettenti da dilettanti si sono persi una volta passati professionisti, quindi ci si deve interrogare e cercare di migliorare il sistema, è palese che qualcosa non funziona. Oggi mi piace tanto Giulio Ciccone, sia per le sue qualità che per il suo carattere sanguigno che piace tanto alla gente e speriamo che dopo il 2020 condizionato dalla pandemia, torni prontamente ad essere protagonista”.

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