Marino Vigna ci racconta il ciclismo su pista dalle Olimpiadi di Roma del 1960 a Tokyo 2020.

Tokyo 2020, l’appuntamento più importante della stagione sportiva anche per il ciclismo: la prova su strada è l’obiettivo dichiarato dei più grandi campioni ma il fascino della pista resta irraggiungibile. In pochi istanti si decide tutto, gloria eterna o sconfitta irrimediabile. Per carpire qualche segreto di questa disciplina abbiamo scomodato una leggenda, Marino Vigna, oro nel quartetto ai Giochi di Roma nel 1960 ed un passato da commissario tecnico della nazionale italiana.

“Marino, cosa significa vincere alle Olimpiadi?”
È una sensazione incredibile e lo capisci con il tempo perché la medaglia olimpica ti porta fama e prestigio anche al di fuori del tuo sport, non sei più conosciuto dagli appassionati del ciclismo ma diventi simbolo di una nazione.

” Roma 1960 – Tokyo 2020, come è cambiato il mondo del ciclismo su pista?” 
Oggi è un altro ciclismo, la programmazione per una Olimpiade segue cicli di preparazione di 4 o 5 anni mentre ai miei tempi abbiamo messo insieme il quartetto ad aprile e ad agosto avevamo la medaglia al collo. Ma a quei tempi il ciclismo su pista era praticato per tutto l’anno e ogni mercoledì sera al Vigorelli a Milano c’era il “mercoledì del dilettante” e praticamente tutti i corridori si cimentavano sia su strada che su pista. Oggi solo guardando i tempi dei migliori assistiamo ad un altro sport: ma dobbiamo considerare i grandi cambiamenti avvenuti specialmente negli ultimi 15 – 20 anni visto che si corre in piste chiuse con superfici più scorrevoli, le biciclette e i materiali sono completamente diversi, si beneficia dei vantaggi dell’aerodinamica senza dimenticare la preparazione specifica e i miglioramenti nell’alimentazione. Nulla è lasciato al caso e sono anche i minimi dettagli a fare la differenza visto che sono importanti anche i millesimi di secondo. Oggi nel quartetto se non scendi sotto i 4 minuti non sei più minimamente competitivo.

“In questi ultimi anni in Italia si sta riscoprendo la pista?” 
Fino a venti anni fa era normale alternare strada e pista, poi in Italia si è un po’ mollata questa tradizione. Abbiamo ottenuto ottimi risultati nella categoria juniores poi quando i ragazzi passavano Under23 la pista veniva regolarmente abbandonata perché contano solo le vittorie su strada per poter diventare professionista, e devo sottolineare che anche i direttori sportivi non hanno saputo indirizzare i ragazzi verso questa disciplina. Da qualche anno per esempio il CT dell’Italia Marco Villa è riuscito a far capire l’importanza della pista ed è riuscito a coinvolgere ottimi corridori e ora l’Italia è ritornata ad essere una delle nazioni protagoniste in questa specialità.

“Tokyo 2020 e le speranze azzurre?” 
Sono contento e ottimista perché avremo una nazionale competitiva in tutte le discipline sia tra gli uomini che tra le donne. Ovviamente con due campioni come Elia Viviani e Filippo Ganna ci sono grandi possibilità di medaglia, anche nel quartetto ma con un calendario di gare concentrato non so se Viviani possa prendere parte anche alla prova di squadra e uno come lui è davvero difficile da sostituire. 

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